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Orari Apertura

dalle ore 7.00 alle 12.30 – dalle 16.00 alle 19.30

Orari SS.Messe

Feriali: ore 9.00
Domenica: ore 9.30 – 19.00

Dedicata a San Nicolò di Bari, la Chiesa Madre di Gangi sorge nella piazza del paese.

Oggi è collegata con la torre detta dei Ventimiglia, che è il campanile della chiesa, ma un tempo, le due strutture erano separate e quello che adesso è il campanile era una torre civica.

La chiesa Madre sorse nel XIV secolo, già con il nome di di San Nicolò. Era costituita da una sola navata e da un transetto con tre cappelle absidate.

Nel corso del XVI e XVII secolo subì le prime modifiche strutturali, con l’allungamento del vano fino alla torre e l’ampliamento a tre navate.

In quest’epoca era molto usata la cosiddetta “pinnata”: un portico sotto al quale si tenevano le riunioni cittadine. La troviamo nel fianco meridionale della chiesa.

Nel corso del Settecento fu completata la cappella sulla navata destra e furono realizzati alcuni altari.

All’interno possiamo ammirare il Giudizio Universale, capolavoro di Giuseppe Salerno (noto come lo Zoppo di Gangi). Inoltre troviamo numerose statue in legno: Sant’Eligio, San Luigi, San Gaetano di Tiene, San Domenico, San Vincenzo Ferreri, tutte opere attribuite allo scultore gangitano Filippo Quattrocchi. Il San Nicola di Bari, che si trova nell’altare maggiore del 1661, è stato realizzato da Scipione Li Volsi.

Degno di attenzione è l’Oratorio del SS. Sacramento, con affreschi del VIII secolo, e la cripta contenente le mummie di alcuni sacerdoti, che i gangitani chiamano “a fossa di parrini” (la fossa dei preti).

 

Il Palazzo Comunale, sede del Municipio, è stato costruito nel 1800 sulla Piazza del Popolo, di fronte alla Torre Normanna.

La facciata principale, in stile veneziano, è segnata al centro da un’elegante torretta caratterizzata in basso da una loggetta in cui sono collocate una lapide marmorea con incisi i nomi dei gangitani caduti nella prima guerra mondiale e una statua bronzea della Vittoria. Sopra la loggetta notiamo uno scudo in marmo con lo stemma di Gang: un Minotauro alla fonte, e un’edicola con un bassorilievo dell’Assunta, copatrona di Gangi. La torretta si chiude con un orologio ed una merlatura.

Si entra al palazzo da una scalinata che costituisce l’inizio di via Salita Municipio. Nel portale in pietra troviamo l’iscrizione della data 1889 ed una copia dello stemma del Comune.

In Piazza del Popolo spicca la nota “Fontana del Leone”, omaggio ai gangitani nel 1931 dall’allora podestà Cav Gioacchino Mocciaro.


La chiesa della SS. Trinità si trova sul versante occidentale del Monte Marone. Si erge al centro di uno spiazzo circolare con pavimento in selciato, delimitato da muretti in pietra, al quale si accede per mezzo di una scalinata anch’essa in pietra.

Fondata nella seconda metà dell’Ottocento su una piccola chiesa preesistente, è stata rimaneggiata intorno al 1910 ed ha una sola navata rettangolare.

L’interno non è caratterizzato da particolari decorazioni. Sull’altare maggiore, però, si può ammirare un grande dipinto su tela della SS. Trinità, realizzato dall’Arciprete D. Epifanio Andaloro, e nell’altare laterale si trova la statua in legno della Madonna del Parto.

La Chiesa è sede della Confraternita della SS. Trinità.


Viene chiamata “San Giuseppe di Poviri” per distinguerla da “San Giuseppe ‘de ricchi”, la chiesa in cui si celebravano le messe di mezzogiorno a cui partecipavano i ricchi. Va detto, però, che la chiesa “de’ ricchi” è in realta intitolata a San Paolo, seppure sul suo altare maggiore si trovi una statua di San Giuseppe.

Secondo la tradizione, nel luogo in cui oggi sorge la Chiesa di S.Giuseppe, esisteva un’edicola sacra. Nel XVII secolo, cresciuta la popolazione del quartiere, l’edicola diventò una cappella ad un solo altare dedicata a San Giuseppe.

Nella seconda metà del XVIII secolo iniziarono i lavori di restauro e ampliamento che portarono la cappella ad assumere le dimensioni di oggi. L’indicazione “1902”, che si legge sul portale d’ingresso, è l’anno del completamento dei restauri e della costruzione del portale.

All’interno, è possibile notare come la pianta della chiesa sia “a croce greca”. L’altare maggiore accoglie una statua in legno di S. Giuseppe che tiene in braccio il Bambin Gesù. L’opera è stata attribuita da F.Alaimo  al Quattrocchi. Tuttavia – denota il Farinella – mancando documenti certi, potrebbe essere riconducibile allo stile di Girolamo Bagnasco.

Attorno alla nicchia spicca un portale artistico di stile barcocco, realizzato con marmo di diversi tipi e colori.

Gli altri due altari sono dedicati alla Madonna dell’Aiuto e a S.Giovanni Bosco.


Orari SS.Messe

Feriali: ore 10.30 – Domenica: ore 10.30

La Chiesa di S.Paolo si trova sul versante nord-ovest del Monte Marone. La sua facciata guarda al muro laterale dell’Abbadia (ex monastero Benedettino).

Fu edificata nel XV secolo come oratorio di S.Paolo. Dopo l’esodo dei Benedettini, l’oratorio diventò la Chiesa di S. Paolo.

Don Pietro Ciappina, nel 1812, ne decise il restauro. La chiesa assunse così l’attuale forma a tre navate. L’indicazione dell’anno del restauro, “1812”, è ancora leggibile sull’altare in marmo.

Particolarissimo è il sistema di colonne binate che separano la navata centrale da quelle laterali: le colonne sono poggiate su un basamento piuttosto alto e decorate con motivi floreali e antropomorfi, opera di Andrea Bonanno.

Sull’altare maggiore, a differenza di quanto ci si aspetterebbe, sorge una statua di San Giuseppe con il Divino Infante (attribuita al Quattrocchi) e non di San Paolo. La chiesa, infatti, sarebbe dovuta essere intitolata a S. Giuseppe ma i confrati insistettero per intitolarla a San Paolo, come l’oratorio da cui ebbe origine. Una statua di San Paolo è comunque presente sull’altare della navata di destra. Opera del noto scultore G.B. Li Volsi.

Per i gangitani, comunque, la chiesa di San Paolo è solitamente detta “San Giuseppe de ‘ricchi”. Questo perché, a differenza della vera chiesa di San Giuseppe, a San Paolo si celebrava “la missa basciu” (messa di mezzogiorno), a cui partecipavano le persone appartenenti al ceto alto.

Di recente, nella navata si sinistra è stata posta una statua di S. Pio da Pietrelcina, che si aggiunge alle altre sculture già presenti: Sant’anna, San Pasquale e Santa Rosolia.


La chiesa deve il suo nome alla posizione in cui sorge: una panoramica piazzetta in cima al Monte Marone, dove si trova anche il castello di Gangi a cui la chiesa è adiacente, essendo nata proprio come cappella del maniero. Nel 1604, infatti, D. Giovanni Ventimiglia, principe di Gangi, accolse i primi frati Cappuccini arrivati nel borgo e cedette cedendo loro l’ala destra del castello, dove si trovava l’antica cappella dedicata a S. Antonio Abate. Oggi si può entrare nella chiesa da Piazza Valguarnera, nome ereditato dall’ultimo casato che possedette il castello. Nella piazza si erge una statua in bronzo dedicata alla Madonna Immacolata, un’opera realizzata nel secolo scorso dall’artista gangitano Padre Alberto Farina. Uno splendido portale in pietra, realizzato nel 1700, orna l’ingresso alla chiesa con i suoi capitelli ionici. Il portone in bronzo è opera di uno scultore originario di Gangi, Antonino Salvo, e rappresenta alcune scene della vita di San Francesco. La chiesa è costituita da una sola navata, a cui bisogna aggiungere la sagrestia, il coro, il presbiterio e una piccola cappella recentemente costruita accanto all’ingresso. Sull’altare maggiore, si può ammirare “Il Dogma dell’Immacolata”, capolavoro del pittore P. Antonio Jerone (1879-1956), O.F.M., da Gangi. Nel 1951 il quadro venne donato al Convento di Gangi per volere dell’autore. Il coro ospita altre due opere di Jerone tra cui il dittico di S.Giorgio e S.Cristoforo. Negli altari laterali troviamo un crocefisso in legno e diverse statue, tra cui merita particolare attenzione quella dell’Immacolata, opera di scuola messinese. Sulla parete laterale a sinistra, si può ammirare un’opera del pittore contemporaneo Santo Mocciaro raffigurante Sant’Antonio Abate.


Fondato nella prima metà del XIV sec. da Francesco I Ventimiglia, Conte di Geraci, il castello di Gangi sorge sul Monte Marone. Appartenne alla famiglia dei Ventimiglia fino al 1625, prima di entrare in possesso della famiglia Graffeo e, dopo qualche anno, della famiglia Valguarnera. Nel corso del Seicento subì diverse modifiche che lo resero più simile a un palazzo nobiliare che a un castello. Successivamente rimase abbandonato, e poi fu utilizzato come carcere, finché non fu in possesso dalla famiglia Milletarì la quale, tutt’oggi ne mantiene parte della proprietà. La rimanente parte è ritornata in possesso di un ramo cadetto della famiglia Ventimiglia. La facciata del prospetto principale, volta a sud-ovest, su piazza Valguarnera, è compresa su due vecchie torri rimaneggiate ed è ornata da un ampio portone bugnato. Il piano nobile è caratterizzato da una fila di balconi con ringhiere in ferro battuto. A nord, il castello si affaccia a strapiombo sul Viale delle Rimembranze.

Per realizzare l’acquedotto comunale, nel 1931 è stata abbattuta l’ala sinistra del castello, mentre l’ala destra, in cui si trova l’antica cappella del castello, anch’essa restaurata, è divenuta negli anni la Chiesa del Monte. Ad essa è annesso il convento dei Frati Minori.

Tra gli anni ’60 e ’80 il castello ha ospitato istituti scolastici.


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Un po’ più schiacciata e panciuta della cugina, la non molto lontana provola dei Nebrodi, si produce all’interno di una delle aree più ricche di biodiversità d’Italia: le Madonie. Una terra montuosa a ridosso del mare: dalle sue alture lo sguardo spazia fino all’Etna, alla catena dei Nebrodi e alle isole Eolie.

Si tratta di un tipico formaggio vaccino a pasta filata; ha la forma di un fiasco panciuto e la crosta liscia e sottile di color giallo paglierino. Il latte, crudo e intero, è riscaldato a 37-38°C nella tradizionale tina di legno, ad esso si aggiunge caglio ovino in pasta. Una volta raggiunta la densità voluta, si rompe la cagliata in grani delle dimensioni di una nocciola e la si lascia riposare per un tempo variabile, versando acqua o siero caldi. La massa è poi messa ad asciugare su un tavolone di legno e tagliata in fette sottili che vengono poste nella tina e bagnate con acqua a 85°C. A questo punto si effettua la filatura della pasta, maneggiandola con le mani e con l’aiuto di un bastone. Quando raggiunge una buona elasticità si formano delle piccole pere (la provola classica è tondeggiante, con “collo” molto corto) che, legate a due a due e appese a cavallo di una pertica, stagionano per almeno 10, 15 giorni in ambienti freschi e aerati. Esiste anche una versione leggermente affumicata. La provola delle Madonie è compatta, tenera, elastica, di sapore dolce e delicato.

E’ ottima accompagnata con il buonissimo pane di grano duro della zona prodotto con lievito naturale (lu criscenti) e cotto a legna.

Quando è fresca, badate a non coprire i suoi fragranti sentori lattei: in questo caso scegliete vini molto leggeri e secchi; per restare sui vitigni locali, provate un Inzolia. Se invece ha una buona stagionatura, abbinatela al classico Nero d’Avola.

Stagionalità

La provola delle Madonie si produce da marzo a giugno. Deve essere stagionata almeno tre mesi.



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