Cose da mangiare

La pasta con il macco di fave, in dialetto “pasta cu maccu”, è una vera pietra miliare della tradizione culinaria siciliana e fa parte della cosiddetta “cucina povera”.

Si può preparare sia con fave fresche che secche, ma la tradizione vuole che sia preparata il giorno di San Giuseppe, proprio nel periodo in cui si raccolgono le fave, pertanto è prediletta la variante con fave fresche.

Le fave vengono cucinate a fuoco lento per molte ore, insieme a un trito di cipolla e a un filo d’olio extravergine d’oliva, fino a che non se ne ricava una crema molto simile alla polenta. A Gangi si usa aggiungere del finocchietto selvatico, per alleggerire la dolcezza delle fave e dare un sapore più deciso.

Particolarmente curiosa è la scelta del tipo di pasta. Anticamente, le botteghe del paese vendevano la pasta sfusa e la tenevano in cassetti, uno per ogni formato. Quando i cassetti si svuotavano, restavano dei rimasugli spezzettati che i commercianti vendevano a un prezzo più basso. Proprio questa era la pasta che avrebbe accompagnato il macco.

Oggi si ottiene più o meno lo stesso risultato spezzettando degli spaghetti. Non lo si fa per necessità economiche, ma perché la pasta spezzettata si lega benissimo al macco, gli da la giusta consistenza e si fonde insieme a esso in una crema gustosa, nutriente, particolarissima.

Per gli antichi, la pasta col macco era il piatto di pranzo e cena anche per diversi giorni. Infatti, lasciata raffreddare in una teglia, la crema si rapprende e può essere tagliata in cubi che poi vengono fritti. Una pietanza povera ma, al tempo stesso, una ricercatissima prelibatezza.

 

Foto: lericettedinicola.it


Assaggiare la carne delle Madonie è un’esperienza irrinunciabile per chi passa dalle nostre parti. La specialità gangitana per eccellenza è il castrato al forno con patate.

Il castrato, che in altre parti d’Italia viene chiamato anche agnellone, è un piatto tipico delle località montane in cui è praticata la pastorizia. È importante sottolineare, infatti, che usiamo solo carni dei pascoli madoniti.

Prima della cottura, le carni vengono lasciate a bagno in acqua e limone, così da ingentilirne il sapore. Nell’acqua vengono aggiunti anche degli aromi che sono “l’ingrediente segreto” delle nonne gangitane.

Dopo questa preparazione, il castrato viene messo in una teglia, bagnato con del vino rosso e infornato insieme a cipolle, erbe, spezie e, naturalmente, dell’ottimo olio extravergine d’oliva locale. La cottura è molto lunga, per cui le patate si aggiungono solo quando la carne inizia a essere dorata.

Inizierete a mangiarlo con le posate e poi avrete la tentazione di mangiarlo con le mani. Fate pure, e leccatevi le dita! E poi non rinunciate a fare la scarpetta nell’olio profumatissimo rimasto nel piatto.

 

Foto: giallozafferano.it


Il baccalà è un piatto povero per antonomasia. Grazie alla conservazione sottosale, rappresentava l’unica ricetta di pesce nell’alimentazione dei gangitani e delle comunità che vivono sulle Madonie. Ma povero non significa meno buono, anzi, il baccalà fritto di Gangi è diventato una vera e propria specialità tradizionale. Lo friggiamo rigorosamente con olio extravergine d’oliva del nostro territorio, perché sia croccante fuori e rimanga tenero dentro. Servito ancora caldo, si scioglie in bocca. È una vera prelibatezza da gustare in ogni stagione.

 

Foto: guidecucina.pianetadonna.it


Un po’ più schiacciata e panciuta della cugina, la non molto lontana provola dei Nebrodi, si produce all’interno di una delle aree più ricche di biodiversità d’Italia: le Madonie. Una terra montuosa a ridosso del mare: dalle sue alture lo sguardo spazia fino all’Etna, alla catena dei Nebrodi e alle isole Eolie.

Si tratta di un tipico formaggio vaccino a pasta filata; ha la forma di un fiasco panciuto e la crosta liscia e sottile di color giallo paglierino. Il latte, crudo e intero, è riscaldato a 37-38°C nella tradizionale tina di legno, ad esso si aggiunge caglio ovino in pasta. Una volta raggiunta la densità voluta, si rompe la cagliata in grani delle dimensioni di una nocciola e la si lascia riposare per un tempo variabile, versando acqua o siero caldi. La massa è poi messa ad asciugare su un tavolone di legno e tagliata in fette sottili che vengono poste nella tina e bagnate con acqua a 85°C. A questo punto si effettua la filatura della pasta, maneggiandola con le mani e con l’aiuto di un bastone. Quando raggiunge una buona elasticità si formano delle piccole pere (la provola classica è tondeggiante, con “collo” molto corto) che, legate a due a due e appese a cavallo di una pertica, stagionano per almeno 10, 15 giorni in ambienti freschi e aerati. Esiste anche una versione leggermente affumicata. La provola delle Madonie è compatta, tenera, elastica, di sapore dolce e delicato.

E’ ottima accompagnata con il buonissimo pane di grano duro della zona prodotto con lievito naturale (lu criscenti) e cotto a legna.

Quando è fresca, badate a non coprire i suoi fragranti sentori lattei: in questo caso scegliete vini molto leggeri e secchi; per restare sui vitigni locali, provate un Inzolia. Se invece ha una buona stagionatura, abbinatela al classico Nero d’Avola.

Stagionalità

La provola delle Madonie si produce da marzo a giugno. Deve essere stagionata almeno tre mesi.



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